Le petroliere Volgoneft-212 e Volgoneft-239 portano alla luce la vulnerabilità strutturale delle vecchie navi, sollevando dubbi sulle misure di sicurezza.
Una catastrofe ambientale senza precedenti scuote le acque del Mar Nero, suscitando preoccupazione globale. Lo scenario è il medesimo: due petroliere russe si sono scontrate nel stretto di Kerch, scatenando un rilascio di oltre 4.000 tonnellate di mazut che continua a devastare la vita marina.
Lungo fiumi di petrolio, una battaglia contro il tempo
Nel cuore dell’inverno russo, il 15 dicembre 2024 segna un giorno oscuro con lo scontro tra le petroliere Volgoneft-212, spezzata dal destino e inghiottita dal mare, e la Volgoneft-239, ferita e arenata vicino a Taman. Entrambe cariche di M100, un oleoso e pesante lievito di disastri. “Una calamità mai vista in precedenza”, commenta Viktor Danilov-Danilyan dal prestigioso podio dell’Accademia Russa delle Scienze. Nonostante l’eco di tali parole, il risveglio governativo arriva lento: uno stato di emergenza federale dichiarato con ritardo e misure di bonifica che arrancano nel contenere il disastro.
Navi fantasma su un mare di incertezze
Vecchie e vulnerabili, le due petroliere che hanno dato vita a questa emergenza ambientale nascono tra il 1969 e il 1973. Sono ombre del passato che sollevano domande scomode: sono forse parte di una “flotta ombra” che elude le rigide sanzioni internazionali? Dmitry Lisitsyn, mente illuminata di Yale, sottolinea l’inadeguatezza di tali relitti in mare aperto durante la morsa dell’inverno. Quali rischi si celano dietro queste instabili armature di metallo? La loro fragilità è stata il preludio alla loro rovina.
L’agonia dell’ecosistema
Il M100, più pesante delle onde che lo ospitano, sprofonda negli abissi come un segreto inconfessabile. “Tecnicamente impossibile da neutralizzare”, afferma un portavoce di Greenpeace, e il tempo di decomposizione si misura in decenni, infliggendo colpi mortali alla biodiversità marina. Uno spettro di morte rapisce migliaia di volatili intrappolati in manti di petrolio, con cifre che superano i 12.000. Anche i delfini, simboli di libertà, trovano la loro fine tra le correnti avvelenate, 70 di loro recuperati senza vita. Questo disastro sferza il Mar Nero con una ferocia invisibile, ma palpabile.
Le onde dell’inquinamento: una minaccia transfrontaliera
Greenpeace lancia l’allarme: la chiazza oleosa si espande voracemente, coprendo circa 400 km², minacciando le coste dell’Ucraina, Romania, Bulgaria e Turchia. “Nonostante un incidente simile accaduto nel 2007, le autorità russe sono rimaste immobili”, accusa Anna Jerzak di Greenpeace, riflettendo sulle conseguenze di un’evidente negligenza. La censura sembra avvolgere le stime reali dell’ecatombe avicola e ittica, mentre Gyunduz Aidynovych Mamedov, un tenace avvocato per i diritti umani ucraino, urgentemente scrive: “Le verità taciute oscurano le vere proporzioni dell’apocalisse ambientale”. In questo intrico di interessi, il mondo è chiamato a non distogliere lo sguardo.